29-7-2020: ANNALISA BONI LEGGE IL LIBRO DI VITANGELO MAGNIFICO

Il 29 luglio 2020 nell'atrio del Castello Angioino di Mola di Bari è stato presentato il libro di Vitangelo Magnifico "Là dove c'erano le norie" (Gelsorosso, Bari 2020). 

Nel corso della presentazione, cui hanno partecipato vari studiosi ed eruditi di Mola, l'attrice Annalisa Boni ha letto alcuni brani suggestivi del libro.

Ecco di seguito la recensione al libro di Magnifico scritta da Waldemaro Morgese:

AGRICOLTURA: MORTE O RINASCITA?

Il settore agricolo nel nostro macrosistema economico, storico e ambientale.

Di Waldemaro Morgese

[su Città Nostra n. 199 del settembre 2020].

C’è già chi ha osservato che nelle varie proposte su come utilizzare i nuovi fondi che l’Italia ha avuto dall’UE manchi l’agricoltura; eppure dal 1970 ad oggi la superficie agricola utile si è ridotta di oltre 5 milioni di ettari e l’Italia oggi non solo non è autosufficiente sul piano alimentare (ci manca il 20% del fabbisogno) ma – per chi non lo sapesse – importa anche l’olio d’oliva. Molte produzioni sono “animate” da rapporti di lavoro semischiavistici, gli agricoltori in generale sono sussidiati altrimenti non potrebbero sopravvivere: infatti le cosiddette “filiere” agro-alimentari sono affollate di intermediari e - non potendo il prezzo finale dei prodotti essere superiore ad un certo limite perché oltre i consumi ne risulterebbero disincentivati – il risparmio si fa sul soggetto più debole della filiera, vale a dire l’agricoltore, in gran parte lasciato solo con se stesso.

Per questo Vitangelo Magnifico nella voluminosa silloge Là dove c’erano le norie (Gelsorosso, Bari 2020) intitola la sua premessa La noria è morta! Vorrebbe significare, pessimisticamente, “l’agricoltura è morta” e chiosa: «La misera condizione della nostra agricoltura assume, così, valore di metafora del declino dell’intera comunità, quindi espressione di sottosviluppo, del quale i più non vogliono ancora prendere coscienza». O anche: «Perché all’innegabile ‘progresso’ della nostra comunità non è seguito l’atteso ‘sviluppo’ della nostra agricoltura nonostante la grande tradizione, il prestigio delle produzioni e il sufficiente know-how?».

La silloge ha un sottotitolo: Raccolta di scritti sull’agricoltura di Mola di Bari e dintorni (1970-2020). Nei 98 ‘pezzi’ scelti, fra i tanti scritti dall’Autore in 50 anni di operosa attività e studi, si spazia con dovizia in lungo e in largo sulle problematiche dirette o collegate per mille fili all’agricoltura-produzione. Questo è un fondamentale merito di Vitangelo Magnifico: l’agricoltura non è da lui concepita come una monade, ma come un sistema di civiltà e di ricchezza che connota i luoghi, tributaria e proattiva nel medesimo tempo di innumerevoli fenomeniche economiche, sociali e culturali. Nel volume insomma non emerge solo il ferrato tecnico, esperto di singole produzioni agricole e di singoli prodotti del lavoro agricolo, ma l’accorato sostenitore di un “mondo” plurisecolare che avrebbe grandi potenzialità ma rischia di rovinare su se stesso per insipienza e miopia (politica ma non solo).

Questo ‘sentire’ complesso era tipico di noi giovani del tempo (Magnifico è mio coetaneo, del 1945, solo qualche mese più anziano di me) ed non è facile farlo comprendere ai giovani d’oggi. Mi conforta però che la trentatreenne Marta Barone, inserita nella dozzina del Premio Strega, abbia scritto per il quotidiano la Repubblica del 7 agosto 2020 un bellissimo articolo intitolato Padre e figlio piantano gli alberi per salvare la terra: «rendere quel paesaggio brutale vivibile, fruibile, era una sfida, romantica ma anche sociale, un sogno commovente ma anche la messa in moto di qualcosa che aveva poco a che fare col sentimentalismo e molto con la vita degli umani e degli animali di quel luogo. Creare uno spazio di comunità, di condivisione, una campagna di tutti e per tutti». Nelle aree rurali infatti è tuttora possibile implementare uno spazio di comunità, anzi si tratta di una sfida interessante anche sul piano economico: è l’intuizione alla base degli ecomusei ed è sufficiente riflettere su cosa può diventare la socio-cultura e l’economia che insiste attorno alla “villa”. Per capirlo, basta rileggere le pagine illuminanti di James S. Ackerman consegnate in La villa. Forma e ideologia (Edizioni di Comunità, Torino 2000).

Tuttavia scrivere di agricoltura significa anzitutto affrontare di petto due dualismi che da decenni attraversano il nostro Paese: quello città-campagna e quello Nord-Sud. Sono dualismi storici che si intrecciano fra loro e l’unica maniera per risolverli al meglio fu individuata – da noi giovani del tempo e da una parte dell’infrastruttura politica del tempo – nel metodo della “programmazione”, ma aimé con deludente risultato. Non per nulla Magnifico ripropone opportunamente la recensione che fece nel 1985 su Realtà Nuove (un periodico pubblicato a Mola di Bari) del libro La sfida della programmazione. Movimenti e politiche per l’agricoltura in Puglia, scritto a quattro mani, da me e dal compianto senatore Antonio Mari per le Edizioni dal Sud nel 1985, con una prefazione di Giuseppe Caldarola: un libro di successo, ristampato l’anno successivo. Magnifico così riassume (e felicemente) il libro: «Detto in breve, il resoconto di tutto ciò che doveva essere fatto e non è stato, invece, realizzato nell’agricoltura pugliese dalla istituzione delle Regioni».

L’Autore di certo ricorderà il comune impegno per il recupero delle terre incolte della nostra regione, a partire dagli anni ‘80, sull’onda della legge 285 del 1977. E oggi? Sarebbe senza dubbio utile tornare a programmare, intersecando città e campagna, Nord e Sud, enfatizzando inoltre un quinto convitato di pietra e cioè le aree interne. Secondo molti studiosi il riequilibrio territoriale e il nuovo rapporto città-campagna dovrebbe valorizzare non solo il patrimonio paesaggistico salvandolo dal dissesto idrogeologico, ma anche la società civile che nelle aree interne e rurali sopravvive (oggi residua, ma non è detto che lo spopolamento debba continuare così): una società civile, come ha scritto di recente Dario Di Vico (sul Corsera del 10 agosto), «comunque decisamente più vivace di quanto si possa trovare nei secondi o terzi anelli delle aree metropolitane».

Quando parliamo di città e campagna, di aree metropolitane e aree interne, in sostanza parliamo anche di Nord e di Sud: perché valorizzando le relazioni virtuose fra città e campagna, fra metropoli e aree interne noi in realtà ausiliamo il riequilibrio del rapporto fra Nord e Sud, o per meglio dire possiamo contribuire a riequilibrarlo a patto di agire in modo programmato.

Su tutto ciò ci aiuta ancora Vitangelo Magnifico, nel suo bel libro che parla sì di Mola di Bari ma soprattutto – attraverso l’approccio microterritoriale - dell’Italia e della nostra storia profonda. Infatti egli scrive con accorata chiarezza: «Affrontare il ‘caso studio’ dell’agricoltura molese, oltre a condurre alla formulazione di un modello per la rinascita ambientale ed economica del territorio, è anche un atto dovuto nei confronti dei nostri antenati, i quali, con il lavoro e immani sacrifici, crearono una identità produttiva e morale che ancora caratterizza la nostra comunità e che sarebbe un imperdonabile errore dissipare».

Libri come questo sono pietre miliari importanti della microstoria e microeconomia: se riguardano Mola di Bari dobbiamo esserne vieppiù orgogliosi e riconoscenti.

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