03-08-2020: A CECILIA MANGINI LE CHIAVI DI MOLA

03-08-2020: A CECILIA MANGINI LE CHIAVI DI MOLA

CECILIA MANGINI, NELLE RADICI DELLA NOSTRA STORIA È IL SUO LEGAME CON MOLA

Di Waldemaro Morgese

[pubblicato su “Mola Libera” del 6 agosto 2020].

Lunedì 3 agosto 2020 alle 20.00, nel Chiostro di Santa Chiara in Mola di Bari, sono state consegnate a Cecilia Mangini le chiavi della città di Mola (un’opera ceramica preziosa di Maria Elena Savini): tributo deliberato dall’intero Consiglio Comunale rappresentato in quest’occasione dal Sindaco. Il folto pubblico presente è stato allietato all’inizio dal meraviglioso gruppo corale queer “Ricchitoni”, schierato sul fronte LGBTI e alla fine dalla proiezione integrale di “In viaggio con Cecilia”, un documentario con la regia di Mariangela Barbanente e Cecilia Mangini prodotto da GA&A Productions nel 2012. La serata è stata organizzata dall’Associazione “Musicando” diretta da Annamaria Tanzi e da “Palazzo Pesce”, struttura animata da Margherita Rotondi.

 

L’immagine che si è presentata agli intervenuti è stata molto bella: Cecilia Mangini sul palco circondata da un “parterre” di autentiche speranze “cinefile”, tutte di Mola di Bari come lei e che con lei hanno interloquito: Mariangela Barbanente (regista e sceneggiatrice), Gianluca Sciannameo (film-maker, critico e studioso di cinema), Annalisa Mirizio (docente di letteratura comparata e di cinema nell’Università di Barcellona).

Purtroppo la città di Mola non ausilia granché la cultura (a meno che non la si confonda con l’eventistica…); prova ne è l’assenza totale di una valida presenza della filiera MAB (Musei-Archivi-Biblioteche), architrave della Cultura con la C maiuscola. Da tempo ho proposto agli Amministratori di trasformare la Biblioteca Comunale (che vivacchia) in una Fondazione culturale che possa implementare la filiera MAB, ma finora sono una Cassandra clamans in deserto. Si immagini il lettore cosa potrebbe – a mo’ di esempio – sortire di beneficio per i cittadini se, in una struttura museale molese, fossero incaricati appunto Mariangela Barbanente, Gianluca Sciannameo e Annalisa Mirizio di approntare la sezione dedicata a Cecilia Mangini? E se ciò si replicasse per le tante vite “illustri” della città? Chissà, forse Mola finirà per arrivarci quando nasceranno politici meno distratti e, se accadrà, diremo che non è mai troppo tardi, per farci coraggio!

Ma ora parliamo di Cecilia. Anche una parte della mia vita è intrecciata con lei, attraverso molteplici fili.

In una memoria che probabilmente sarà pubblicata a breve, lei ha scritto fra l’altro: «Lentamente sono riuscita a risalire ai tempi della Teca del Mediterraneo, quando la dirigeva Waldemaro Morgese e Maria Abenante ne era la vicedirettrice: di anno in anno la Teca organizzava una tavola rotonda che riuniva storici, giornalisti, critici, registi, scrittori e la più varia umanità. La Teca del Mediterraneo produceva anche documentari dedicati agli autori di origine pugliese e arrivò un anno, il 2010, che Waldemaro affidò quello su di me a due documentaristi che io non conoscevo, che non mi conoscevano e tutti insieme in coro rifiutammo quella scelta ma Waldemaro ostinatamente dichiarò che proprio perché non ci conoscevamo la sua era una scelta sacrosanta. Era nel giusto e lo dimostra quel documentario, “Non c’era nessuna signora a quel tavolo” di Davide Barletti e Lorenzo Conte, girato con sovrimpressioni in anticipo sui tempi, con un montaggio molto articolato e un bel crescendo musicale sul titolo “FINE”. In più c’è un booklet firmato Gianluca Sciannameo».

Al perché nel 2009 decisi di produrre un film-documentario (durata 66’) dedicato a Cecilia arrivo subito. Prima desidero rimarcare la parabola essenziale di Cecilia. Dopo una lunga attività a Firenze come organizzatrice nella Federazione Italiana Circoli del Cinema, cura la regia e la sceneggiatura di quattro intensi corti nel triennio 1958-1960: Ignoti alla città, Firenze di Pratolini, Stendalì (Suonano ancora), Maria e i giorni. Poi, con altri fra cui il marito Lino Del Fra e Lino Micciché, firma fino al 2004 innumerevoli altri documentari e dopo quell’anno (esattamente dopo Uomini e voci del congresso socialista di Livorno) entra “in sonno”. Dal “sonno” la tirano fuori anni dopo gli animatori del Cinema del Reale e la Presidenza della Repubblica, che la fregia della medaglia d’oro “per aver trasmesso alle generazioni future, attraverso la sua attività di cineasta documentarista, alcune delle più belle immagini dell’Italia degli anni ’50 e ‘60”. Il 2009 è l’anno in cui viene rivalutata la sua attività di fotografa: Claudio Domini, docente di Storia e tecnica della fotografia al DAMS di Gorizia, pubblica il volume L’impero dell’immagine. Cecilia Mangini fotografa 1952-1965, replicando un’operazione da lui già svolta su Luigi Di Gianni, tesa a investigare le relazioni fra inquadratura cinematografica e fotografia. Inoltre nel 2009 il “NododocFest” di Trieste valorizza la rassegna completa delle sue opere filmiche.

Nel Sud d’Italia la vera “ri-emersione” di Cecilia si chiama Non c’era nessuna signora a quel tavolo e segna come data il 2010: anno nel quale il film-documentario di Davide Barletti e Lorenzo Conte sulla vita di Cecilia viene distribuito e più di una volta subito trasmesso su RAI STORIA e in varie altre sedi in modo da farlo conoscere ad un vasto pubblico.

Perché nasce Non c’era nessuna signora a quel tavolo? È il fortunato spillover di un progetto di Teca del Mediterraneo, quello di valorizzare le identità della Puglia e dimostrare che l’identità – contrariamente a quanto sostenuto da una errata vulgata “progressista” – non è necessariamente un fattore di conservazione o immobilismo ma può essere un potente vettore di arricchimento culturale e di valorizzazione dinamica delle radici. Teca del Mediterraneo fu antesignana e successivamente anche le politiche culturali regionali compresero tutto ciò e si comportarono di conseguenza. Fatto sta che il 15 settembre 2010 nel padiglione 152bis della Fiera del Levante si svolse una importante manifestazione: “Verso una mappa delle icone culturali dell’identità pugliese: film/frammenti in progress”. Furono proiettati in anteprima assoluta alcuni fotogrammi dei due film-documentari in corso di completamento, i cui titoli diventeranno Non c’era nessuna signora a quel tavolo (su Cecilia, di Barletti e Conte) e Io e la mia sedia (un film sul cantastorie pugliese Enzo Del Re, regia di Angelo Amoroso D’Aragona). A fine anno i due film erano pronti e furono resi pubblici. Livio Costarella, nell’annunciare l’evento, intitolò il suo articolo Del Re suona la sua sedia e Cecilia ricorda (La Gazzetta del Mezzogiorno del 13 settembre 2010). Il progetto di Teca, si badi, era già in corso di implementazione con ricchezza di contenuti: operisti e musicisti, cineasti, il Cut/Bari, i futuristi pugliesi, il primo film muto pugliese Idillio infranto arricchito con una magnifica colonna musicale opera di Nico Girasole…

Dopo il 2010 la vita di Cecilia è stata un magnifico crescendo di popolarità, nazionale e internazionale; si sono anche vieppiù cementati i rapporti virtuosi con la Puglia e persino anche con la sua città nativa, Mola di Bari. La stessa decisione di Mariangela Barbanente di firmare con lei un film documentario in cui ripercorrere la “vita civile” di Cecilia degli anni “eroici” per compiere una sorta di bilancio su quanto successivamente accaduto nel Sud è la riprova più eloquente.

È da sottolineare che mentre il rapporto con la Puglia è stato vivificato essenzialmente dal Cinema del Reale e dall’Apulia Film Commission, quello con la città di Mola ha visto come protagonista soprattutto l’Associazione “Le Antiche Ville”, per la semplice ragione che Cecilia è nata nella contrada rurale molese di Brenca, nel Poggio delle Antiche Ville (a riprova dello spessore storico della ruralità molese) e in questa contrada da un certo momento in poi si è ritirata ogni anno, in estate, per trascorrere un ameno soggiorno con il marito Lino (deceduto nel luglio 1997), dimorando nella casina di campagna ereditata dal padre.

Ecco alcuni riferimenti che danno conto di questo legame della città nativa con Cecilia.

Il 14 dicembre 2002 su promozione dell’Associazione culturale “Realtà Nuove” e con il sostegno del Comune di Mola si svolse nel Centro Aperto Polivalente una retrospettiva intitolata Il cinema come strumento di indagine sociale: i documentari di Cecilia Mangini. Anton Giulio Mancino, nell’annunciare l’iniziativa, titolò il suo pezzo sulla Gazzetta del Mezzogiorno del giorno prima Ho fatto ciak sulla realtà. E Gianluca Sciannameo, nel suo libro Con ostinata passione. Il cinema documentario di Cecilia Mangini (pubblicato da Teca presso Edizioni dal Sud in astuccio con Non c’era nessuna signora a quel tavolo) ricorda che prendendo la parola in questa retrospettiva Cecilia sottolineasse con amarezza come il documentario avesse perso via via visibilità e pubblico dopo la stagione vivace del dopoguerra.

Il 25 febbraio 2011 presso il Castello Angioino di Mola fu proiettato il film-documentario Non c’era nessuna signora a quel tavolo, con il saluto dell’Amministrazione Comunale e la presenza di Cecilia cui fu consegnata dall’Associazione “Le Antiche Ville” una targa. L’evento inaugurava la IX edizione della rassegna “Baricentro di cultura in collina”.

Sempre nel 2011, il 13 e 14 luglio, presso il Castello Angioino di Mola (replicata il 18 settembre presso Casina Morgese in Brenca), fu allestita dall’Associazione una mostra documentaria su “Cecilia Mangini maestra dell’immagine” (vi collaborò anche Maria Abenante): composta di 2 sezioni, la prima con l’esposizione di 6 fotografie scattate da Cecilia nelle campagne di Brenca; riprendono Maria Limitone, meglio conosciuta come “Maria di Capriati” per il suo legame morganatico con don Sebastiano Capriati (Maria è anche la protagonista di Maria e i giorni). La seconda sezione espose 9 cartoline postali spedite negli anni Venti allo zio paterno Angelo in 3 città: Arezzo, ove Angelo frequentava il Convitto Nazionale; Torino, ove frequentò l’Università e Roma ove frequentò il Centro Chimico Militare. Nonché altre 9 cartoline con vedute di Mola: ricevute tutte dallo zio paterno Angelo, che divenne un importante professore universitario di chimica, studioso di fama e Accademico dei Lincei.

Cecilia così scrisse all’Associazione “Le Antiche Ville” il 6 luglio 2011 in merito alle cartoline da esporre: «Da mio zio Angelo, fratello minore di mio padre, e anche da mio padre ho ereditato la fissa di conservare tutto, come se la vita potesse essere testimoniata da lettere, immagini, fotografie, cartoline – forse le più importanti di tutte: raccontano i luoghi, le città, i paesi, i nostri rapporti con i parenti, con gli amici. Figuratevi se non ho maniacalmente conservato quanto conservato da papà e da mio zio: vedete le foto di famiglia e altro che ho regalato al nostro ecomuseo. Le cartoline che si riferiscono alla Mola anni Venti e Trenta del secolo scorso e che sono state scelte per essere ingrandite come racconto di una comunità, hanno anche un retro, e questo retro parla in presa diretta dell’adolescenza e della giovinezza di mio zio. Sono stati soprattutto loro, mio papà e mio zio, a non farmi dimenticare il debito che mi lega a Brenca e a Mola». Così, credo, abbiamo scoperto una Cecilia non solo cineasta, non solo fotografa, ma anche collezionista affettuosa di cartoline!

Il 22 febbraio 2020, presso Casina Morgese in contrada Brenca, l’Associazione “Le Antiche Ville” ha promosso una serata musicale incentrata sulla proiezione di alcuni dei suoi documentari degli anni ’60 (Stendalì e Maria e i giorni), offrendo ai partecipanti anche una piccola mostra su Cecilia negli ambienti della Biblioteca “Il Poggio”.

Concludo. Cecilia è anche una (potenziale) scrittrice fascinosa. Per sincerarsene, il lettore scorra (è solo un esempio) la breve ma intensa sua prefazione intitolata “Omero persuasore occulto” in testa alla raccolta di 47 fotografie scattate da lei a Lipari nel 1952 (Lipari 1952. Viaggio nelle cave di pietra pomice, a cura di Claudio Domini e Mattia Felice Paino, Edizioni del Centro Studi Eoliano, Lipari 2015), della quale trascrivo qui solo l’incipit:

«Estate 1952: per fuggire dalla monotonia delle spiagge nascoste da quattro file di ombrelloni, Omero è il mio persuasore occulto: tutte le Eolie sono il regno degli dei del vento, però Lipari, identificata come l’isola delle pietre galleggianti, è in testa ai desideri miei. Purtroppo non ha alberghi né locande. A Panarea, invece, il medico condotto ha organizzato una trattoria sul lastrico di casa e per dormire affitta le casette calcinate bianche, abbandonate dagli isolani partiti in massa per l’Australia – allora eravamo noi italiani a partire per l’ignoto».


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