SCIAMANI, ARABE FENICI, BANANE GIALLE E MAMBO: Recensioni

RECENSIONI A SEGUIRE DI: VITO MARANGELLI, DANIELE MARIA PEGORARI, ANNALISA BONI, ENZA CAPUTO, GIULIA POLI DISANTO, MARY SELLANI (2), ANDREA LATERZA, PIERO FABRIS (2), GIUSY CARMINUCCI, CARMEN MARI.

IL NUOVO LIBRO DI WALDEMARO MORGESE: CHE DIRE? HO UNA SOLA POSSIBILE DEFINIZIONE. “MULTI…”

 di Vito Marangelli

 [Gruppo Facebook Il Periscopio-Osservatorio della vita culturale e politica molese - 12 aprile 2021

https://www.facebook.com/groups/855075411196214/permalink/3811423392228053/].

 Ho appena finito la lettura integrale del libro recentemente uscito di Waldemaro Morgese ("Sciamani, arabe fenici, banane gialle e mambo. Racconti", Giazira Scritture ed., 2021), una silloge di racconti che sintetizza gli aspetti multiformi della personalità dell'autore.

 Il "multi..." della mia definizione si riferisce alla diversa natura dei racconti, tutti piuttosto brevi e godibili, ma anche al fatto che l'Io Narrante si incarna in personaggi assai diversi (uomini e donne), alla diversità degli stati d'animo, alla diversità dei temi (scopro un Waldemaro appassionato di fantascienza che mi era finora ignoto, ma anche di matematica). Insomma, lo specchio perfetto dell'intellettuale curioso del mondo che noi abbiamo imparato a conoscere nel tempo.

Tra i vari racconti avrei voluto segnalarne qualcuno in particolare, ma poi ho deciso che non avrei saputo quale scegliere con priorità. Quello che mi sembra di aver colto è il tema dominante dell'autobiografia che apre squarci intensi sull'anima dell'autore. Alcuni racconti sono veramente toccanti.

 ll nome completo dell'autore è "Antonio Waldemaro Ottone", nome che implica una corposa eredità di carattere anche artistico, vista la professione del nonno Ottone Pesce, compositore e direttore d'orchestra per il quale Waldemaro nutre una vera e affettuosa ammirazione. Quando sei in quella fase dell'esistenza in cui i vecchi amici cominciano ad abbandonare questa vita, non puoi che ricordarli con commozione.

Ma, Waldemaro, nuovi amici sono pronti ad ascoltarci, è una assoluta verità. Insomma, un libro di cui consiglio vivamente la lettura. In libreria a Mola alla "Libreria Culture Club Cafè" di Domenico Sparno.

 

 

QUEI 25 PERSONAGGI IN CERCA DI SCIAMANI NOTE E…ARABE FENICI – I racconti di Waldemaro Morgese

di Daniele Maria Pegorari

[La Gazzetta del Mezzogiorno - 4 giugno 2021, p. 15].

 La fantasia narrativa di Waldemaro Morgese (1945), autore sempre a cavallo fra racconto d’evasione e saggismo, fra autobiografia e invenzione, trova in quest’ultimo libro, Sciamani, arabe fenici, banane gialle e mambo (Giazira scritture, Noicattaro 2021), la via convincente di una serie di brevi racconti di varia ispirazione; variabile è anche il punto di vista, sempre «interno», ma ora maschile ora femminile, con un effetto che spiazza piacevolmente il lettore che nelle prime righe di ogni bozzetto prova a scommettere sul genere, sul carattere e sulle inclinazioni di gusto della voce narrante.

Ad accomunare questa pluralità di voci, tuttavia, c’è una sorta di «aria di famiglia» che individuerei nella loro «memoria di carta»: più che di bibliofilia, intesa come collezionismo raffinato o compulsivo, i personaggi di questi venticinque racconti si muovono divaganti a partire quasi sempre dalle loro letture, dal loro ricorrente mestiere di bibliotecari, dalla curiosità con cui essi spaziano dal romanzo di viaggio alla matematica, dalla letteratura esoterica a quella politica, dalla storia locale alla musica colta.

Impossibile non pensare allo spazio concreto della biblioteca della bella casina di campagna dell’autore, dove molti dei libri di cui si parla sono effettivamente custoditi, eppure l’abilità di questa scrittura ne fa il tappeto elastico di salti nel sogno, negli accostamenti bizzarri, negli svolazzi dell’affabulazione. Aneddoti e curiosità qui diventano spiragli che immettono in mondi alternativi, interstizi attraverso i quali i lettori accedono alle dimensioni alternative delle favole e della realtà virtuale, delle reincarnazioni e dello spazio microscopico.

Allora ci commuoviamo per il cane che attende la voce del padrone rimanendo incollato alla tromba del grammofono e il particolare si colora improvvisamente di allusioni transumaniste circa la prosecuzione della vita attraverso la macchina; seguiamo la disperazione del comandante Adamo, superstite di un naufragio cosmico, il cui pensiero (forse l’ultimo) va a una danzatrice di ritmi tribali; facciamo una zingarata in auto con lo smemorato Vittorio oppure indossiamo il visore in un museo virtuale per trovarci al cospetto delle piramidi sul Nilo o fra le armature scintillanti dei paladini ariosteschi, ma forse nell’un caso e nell’altro solo per tentare di sfuggire al tedio del presente; ascoltiamo gli Style Council in una Varsavia che fa le prove generali di democrazia liberale, Bernstein che dirige la nona di Beethoven in una Berlino appena riunificata e la Roma capomunni di Nino Rota suonata a Bari per pochi intimi. Forse una chiave di lettura è offerta dal trittico di icone allineato nel racconto intitolato, non a caso, Heroes: Giordano Bruno (il teologo eretico che avrebbe aperto la strada al concetto di multiverso), Don Chisciotte (il cavaliere che non si arrende alla prosa della modernità e si ostina a interpretare il mondo secondo un codice favoloso) e la DeLorean (la supertecnologica automobile di Ritorno al futuro). Come dire: spregiudicatezza della ricerca, rifiuto della prassi e fiducia nella tecnica che, contro ogni apparente contraddizione (soprattutto del termine medio rispetto agli altri due), si costituiscono come virtù di quel tipo di intellettuale illuminato, diciamo pure ‘umanista innovatore’ che Morgese da sempre ha cercato di incarnare e di favorire con la sua attività di civil servant, professionalmente prima, creativamente poi.

In questa affascinante triangolazione sta forse il segreto per coniugare renitenza al conformismo e visione progressista della storia, nostalgia del passato e curiosità per il nuovo, inettitudine e attivismo. Ciò di cui abbiamo bisogno per scansare le odierne banalità insidiose «della ripresa e della resilienza».

 


 SCIAMANI, ARABE FENICI, BANANE GIALLE E MAMBO: IL PATTO AUTOBIOGRAFICO DI WALDEMARO MORGESE

 di Annalisa Boni

[Casinamorgese.it - 23 giugno 2021].

Anton Čechov ha teorizzato che un racconto si caratterizza da un’introduzione, un climax e da una epifania o denouement che potrebbe essere grossolanamente tradotto ‘l’esito di una storia’.

Waldemaro Morgese con il suo nuovo libro Sciamani, arabe fenici, banane gialle e mambo, edito da Giazira Scritture, ci regala venticinque racconti. Questi racconti possono essere assaporati in maniera discontinua o no, secondo l’umore del lettore. Apparentemente nulla o poco lega un racconto all’altro a parte un clin d’œil all’intestazione del volume che fa echo ad alcuni titoli delle venticinque storie riunite in questo testo.

Hemingway diceva che il miglior prologo ad un romanzo sono i racconti nei quali, a prima vista, sembra che nulla di clamoroso accada ma, in realtà, i fili sottili della vita sono già ben dispiegati.

In questa raccolta, infatti, il tono è prevalentemente pacato, delineato dall’uso del discorso diretto, da un lessico preciso ma per lo più quotidiano. Tuttavia, quasi ogni racconto ha svariati riferimenti, qui elencati non in maniera esaustiva : bibliografici, musicali, cinematografici, politici, storici, di antropologia e di scienze agrarie. Nello specifico, nel ventiquattresimo racconto intitolato Banane gialle, il lettore s’imbatte nel termine ‘debbio’ che definisce la pratica ancestrale di rigenerare i terreni bruciandoli.

Inoltre, in questi racconti prevalgono i personaggi maschili, tutti protagonisti, i quali si delineano per l’acutezza di osservazione, di riflessione e discernimento. Sono uomini guidati da uno spiccato senso dell’osservazione, molta curiosità, a volte sono sorprendentemente caparbi, ma in genere dotati di molto buon senso e di un pizzico di melanconia.

Si potrebbe azzardare allora che Waldemaro Morgese faccia celatamente con il lettore il cosidetto ‘patto romanzesco’ che è la pratica manifesta della non-identità (autore e personaggi non portano lo stesso nome) e dell’attestazione di fittività. Ad ogni modo, i racconti hanno una semantica molto vicina all’autobiografica o all’autofinzione, in cui la forma letteraria rimanda agli spazi letterari della vita. Nel delizioso tredicesimo racconto Il viaggio, un uomo di una certa età incomincia un viaggio in auto con un amico, e partendo da una regione che potremmo definire la Puglia, man mano che attraversa diverse regioni d’Italia, offre al lettore il suo intimo stato d’animo che culmina, alla fine di questo racconto, a mo’ di epifania, con la certezza della fine del legame di amicizia che lo legava al suo amico e anche accompagnatore di viaggio.

Ecco le frasi finali di questo racconto: «Giunto nel paese faccio qualche congettura: amare i viaggi può essere un diversivo, cioè una maniera per disinteressarsi del presente? È per questo che Vittorio all’improvviso ha dimenticato chi è e il suo oggi ? Oppure la sua malattia purtroppo incalza? Spero che la risposta sia la prima, ma in ogni caso era finita una grande amicizia».

In modo contrario, noi, da lettori, rinnoviamo il nostro amichevole affetto e la nostra gratitudine a Waldemaro Morgese per questa preziosa raccolta di racconti.

 


LEGGERE UN LIBRO È DIALOGARE IN SILENZIO CON L’AUTORE – (WALDEMARO MORGESE, SCIAMANI, ARABE FENICI, BANANE GIALLE E MAMBO, GIAZIRA SCRITTURE, NOICATTARO, 2021, PAGG. 160)

 di Enza Caputo

[Casinamorgese.it - 25 giugno 2021].

Leggere un libro è dialogare in silenzio con l’Autore, è ricostruire l’insieme dei significati del testo. Nei venticinque racconti del libro di Waldemaro Morgese, il reale, il fantastico, il concreto, l’onirico si susseguono, si richiamano a vicenda ed elementi del mondo reale si fondono con le immagini del sogno, del surreale, tra storia e mistero.

Lo stile narrativo richiama opere pittoriche del surrealismo, che inquietano (Salvator Dalì) e rasserenano per la vivacità cromatica (Chagall, Matisse, Mirò).

«…Passo dallo sconforto più nero alla speranza e poi di nuovo ricado nella disperazione e così via. Sono diventato un pendolo», parole che comunicano l’esperienza, la dinamica di un incubo.

I primi racconti sconcertano, perché il fantasioso e il reale sono così in equilibrio che non è definibile dove inizia la rappresentazione concreta e dove subentra quella irreale.

Si riscontra nei venticinque racconti un fil rouge: un amarcord felliniano, non racconti autobiografici, ma la testimonianza di una certa stagione, vissuta dall’ Autore.

Egli si diletta a inventare, pertanto sono autobiografie un po’ approssimative, racconti di vita ispirati, appassionati.

In questo lavoro l’autore si racconta attraverso i personaggi: Francis, Arturo, Nora, Francy, Carla, Roberto, Marcella, Martino, Elektra, Umberto, Irene…

Emerge, pertanto, una rievocazione nostalgica nel senso più delicato, intimo, a volte malinconico che sconfina nella ricerca della propria identità e del senso della vita. Lo stile onirico, sognante, irreale del linguaggio domina.

Ad esempio ne La porta del tempo, si disquisisce su complessi ragionamenti fantascientifici, filosofici e il linguaggio è, spesso, vago e indefinibile. La conclusione realistica.

Nell’incipit di Io e Nora la protagonista esordisce: «Ci tengo a illustrare la mia filosofia di vita e a spiegare quanto importante sia la cultura, soprattutto ai giovani che frequentano la biblioteca in cui lavoro» (pag. 33). E poi i problemi sociali: l’uomo e la donna alla ricerca della propria identità di genere. Cronaca nera: scontro tra un padre e un figlio che dichiara la sua omosessualità e che finisce in tragedia.

La sacralità della natura emerge nella descrizione dell’ambiente agreste di collina di cui la protagonista è innamorata e che le dà tanta serenità e felicità, coinvolgendo egregiamente il lettore, facendolo riflettere sulle problematiche ambientali.

Nel racconto Meticciamento, lo stupore, Antonio confessa il suo hobby: «…Contemplare il cielo stellato, ma anche albe nelle incipienti frizzanti mattine, appena sorto il sole. Oppure i rossi tramonti…» (pag. 40). La protagonista, raccontando le sue esperienze di studio, si sofferma sull’ annoso contrasto e spaccatura tra cultura umanistica e scientifica. Ricordo che con il dettato legislativo del 1979, i nuovi Programmi per la Scuola Secondaria di primo grado, si attuarono strategie didattiche per il superamento della dicotomia fra questi due ambiti culturali, indicando la ricerca geografica come strumento «per superare la frattura fra scienze umane e sociali da un lato e scienze naturali dall’ altro». La Geografia utilizza una pluralità di linguaggi «differenti e perciò non gerarchizzabili, il cui possesso integrale è necessario per una formazione completa della personalità umana» (Andrea A. Bissanti, Puglia, geografia attiva, perché e come, ad uso dei docenti, Mario Adda Editore, Bari, 1991, pag. 69): linguaggio verbale, numerico, elaborazione dei dati, rappresentazioni grafiche, cartografiche, simboliche, iconiche. La ricerca accademica si apre al territorio, collabora con la Scuola che, a sua volta, rivede e aggiorna finalità, metodologie e contenuti. Meticciamento, interdisciplinarità nella didattica.

Il senso della vita in Tre figure altere: «…la vita vale per quel che si è capaci di testimoniare e loro tre, da questo punto di vista, sono assolutamente tranquille» (pag. 118). Conclusione di foscoliana memoria, che richiama gli ideali di vita del Poeta: “La religione delle illusioni”, vera esigenza dello spirito.

Insieme, un racconto inizialmente didascalico: «…non bisogna sprecare la nostra vita, che ogni suo momento è prezioso, quindi che a ogni anno bisogna dare valore e viverlo in modo importante» (pag. 62). E poi l’amore, un nostalgico raccontarsi: le trasgressioni giovanili e “i ricordi dell’adolescenza”, i viaggi in continenti e Paesi con un’organizzazione sociale e culturale molto diversa: «ove il medico e lo sciamano si confondono, il guerriero e il folle, il mago e il pescatore…». Una conclusione dolorosa, una sofferenza discreta.

In 8691 un raccontare esperienze che si sono trasformate in incubi ricorrenti. «Dimenticare tutto e tutti». Una scelta di vita in solitudine a contatto con una natura, con fenomeni estremi, il piacere di rileggere frasi di un libro: «In realtà sono attratto dalle incursioni esoteriche, quelle… che ci dicono… che la realtà non è quella che sembra».

Banane gialle: episodi della quotidianità che richiamano alla mente del protagonista, ormai vecchio, le scelte ideologiche, politiche e le convinzioni sociali di gioventù.

In Racconto italiano, il venticinquesimo racconto, quello conclusivo, i toni amareggiati dell’incipit vengono cancellati dall’amore per la cultura, che procura al protagonista momenti di gioia, di felicità. Si chiude il cerchio, conclusione onirica, surreale, misteriosa: «… non so neppure se questa città è materiale, un luogo geografico, insomma, oppure una nuova condizione del mio essere».

Una lettura coinvolgente. La rappresentazione della vita dei diversi personaggi richiama al lettore le sue esperienze e ne è attratto e coinvolto. Come è accaduto a me. Il ricordo del Maestro Nino Rota, molto vicino alla mia famiglia, la partecipazione ai suoi concerti, fra i tanti, alla prima assoluta a Perugia, settembre 1970, della rappresentazione de La vita di Maria per voci, coro e orchestra. E tanti gli episodi e gli aneddoti arricchenti sul piano umano e culturale. Quando si andava a Roma, era diventata una consuetudine incontrare il Maestro Rota, sempre molto ospitale.

L’amore e la sacralità della natura mi ha fatto riscoprire libri a me tanto cari, uno fra tutti Il segreto del bosco vecchio di Dino Buzzati, letto qualche anno fa con i miei ragazzi e ragazze di seconda media, da loro molto apprezzato. Ritrovo l’amore per il paesaggio agreste con le tradizionali colture che, ahimè, subiscono l’inesorabilità dello scorrere del tempo.

Lo stile linguistico dei racconti è caratterizzato da un registro espressivo: lo spazio del raccontare è in una zona indefinita che sta attorno alla realtà, la surrealtà, e che lascia libero l’autore nel gioco dell’immaginazione, della fantasia, del fantascientifico, del virtuale…

Waldemaro Morgese, raffinato intellettuale, pur con formazione umanistica, sostiene e promuove un approccio multimediale alla cultura (Umberto Eco, Apocalittici e integrati, Tascabili Bompiani, Milano, IX edizione, gennaio 1990, pp. 391). Ho dialogato volentieri con l’Autore attraverso la lettura del suo libro che emoziona, fa sorridere, sconcerta, fa riflettere, dà spunti per approfondimenti. Buona lettura.

 


IL RICORDO E IL SOGNO FILTRATI DAL TEMPO NEI RACCONTI DI WALDEMARO MORGESE

di Giulia Poli Disanto 

[Casinamorgese.it - 31 luglio 2021].

Waldemaro Morgese, autore di numerose e consolidate pubblicazioni, con il suo ultimo lavoro “Sciamani, arabe fenici, banane gialle e mambo” (Giazira scritture), consegna al lettore venticinque racconti in cui il ricordo e il sogno permettono all’Autore di recuperare il rapporto con la realtà per superare la vita che passa.

Ricordare è sempre un percorso doloroso della mente per ciò che di bello e di gioioso abbiamo vissuto, per ciò che siamo stati e non siamo più. Il sogno è fantasia e immaginazione perché costituisce il mezzo per guarire la malattia della vita, e che Giovanni Pascoli sviluppa nella poetica del fanciullino. Tra il ricordo e il sogno interferisce il tempo, come una forza capace di cancellare e trasformare tutto. Il tempo perduto che la coscienza ha assimilato, accantonando i ricordi che la memoria involontaria mantiene e che l’Autore riporta in superficie proprio attraverso la scrittura, magari grazie ad un sapore ad un profumo ad una madeleine, per dirla con Marcel Proust.

Nei venticinque racconti, dicevo, il tema del ricordo spesso si presenta come rievocazione, rielaborazione di un passato ormai lontano e sfuggente, come reminiscenza di figure di luoghi e di eventi di carattere personale. Come ricordo, appunto, di un passato storico doloroso e/o gioioso e indimenticabile: E pur mi giova la ricordanza e il noverar l’etade del mio dolore, scriverà Leopardi nello Zibaldone.

I racconti evidenziano diverse tematiche dove il concetto di morte, dell’handicap e dell’amore trascinano il lettore in un viaggio che introduce alla vita, a quella vissuta e a quella ancora da vivere per cercare nelle pieghe dei ricordi la strada maestra che quasi sempre è priva di pericoli, o quanto meno insegna ad evitarli. Il tutto è raccontato con un linguaggio essenziale e maturo, ovvero un registro linguistico asciutto e corposo dove lo stile, chiaro e scorrevole, riporta alla mente i quarantanove racconti di Ernest Hemingway.

Il pregio di questi componimenti è la brevità. Le due pagine, o quasi, che li caratterizzano allertano sin dall’inizio l’attenzione del lettore, lasciandolo quasi sempre sorpreso per la chiusa mai scontata. Il filo rosso che li accomuna è la voce narrante del/della protagonista. Il tempo è un elemento essenziale che emerge in tutti i racconti e scorre tra passato e presente attraverso i diversi personaggi anche storici (vedi Giordano Bruno, Pitagora, Francis Drake) e a volte anche nella sua crudezza, vedi Io, Nora.

Perché non parlare anche di racconti intesi come eteronomi dell’Autore, magari alla maniera del portoghese Fernando Pessoa? Un intreccio di voci e di personaggi scomposti in varie altre personalità che sanno di vissuto, di passione all’insegna dell’umanità, dell’amore, del Recuerdo (riferimento al famoso tango dell’italo-argentino Osvaldo Pedro Pugliese) nonché della poesia dove l’emozione delle letture di Apollinaire, Mallarmé, Rimbaud hanno un ruolo fondamentale nel giovane protagonista del racconto Insieme: «Pongo fine ai ricordi dell’adolescenza e, calata la sera, tornati io e la mia compagna a casa, avverto il bisogno di tuffarmi nel mondo dolcissimo della poesia», afferma Roberto prima di tuffarsi nuovamente nei viaggi e nei ricordi di ciò che è stato.

Raccontare, quindi, per Waldemaro Morgese è una necessità per esorcizzare il passato, oppure è una finzione per superare il presente?

La risposta ci arriva dallo stesso Autore in Racconto italiano che, rifacendosi a Elogio della letteratura e della finzione di Mario Vargas Llosa, riporta: «Così come scrivere, leggere è protestare contro le ingiustizie della vita. Chi cerca nella finzione ciò che non ha, dice, senza la necessità di dirlo, e senza neppure saperlo, che la vita così com’è non è sufficiente a soddisfare la nostra sete di assoluto, fondamento della condizione umana, e che dovrebbe essere migliore».

La finzione, allora, ci viene da pensare, è per l’Autore una componente congenita all’essere umano che in questo modo esprime meglio la sua emotività. Finzione che – a mio parere, e per pirandelliana memoria – parte sin dall’infanzia, tenendo conto che l’essere umano indossa la sua maschera tutte le volte che si rapporta con un suo simile.

Per concludere: ritengo questi 25 racconti molto interessanti sia dal punto di vista emotivo che letterario. Quel gioco spontaneo che parte dal ricordo e si sofferma poi sul sogno, finisce con l’essere filtrato dal tempo che, come tutti sappiamo, è un implacabile censore degli eventi della vita.

 


SCIAMANI, ARABE FENICI…

 di Mary Sellani

 [Il Quotidiano di Bari - 3 agosto 2021].

 Sciamani, arabe fenici, banane gialle e mambo, ultima pubblicazione di Waldemaro Morgese, scrittore, saggista, editorialista (Giazira scritture, 160 pagine, 13,00 euro), composta da 25 capitoli, è una raccolta di ricordi rievocati in forma di racconti brevi, e nascenti prevalentemente da memorie di libri letti in grandissima quantità. In possesso di questa enorme erudizione, Morgese si diverte talvolta a metterla a disposizione anche della fiction.

Operazione in cui egli cita puntualmente autori noti e meno noti che sollecitano ad ogni modo le sue riflessioni sulla vita, sulla società, su problemi morali o ideali, sul valore della conoscenza e della cultura. Ripercorrendo la lettura di libri con tale facilità sembra quasi che egli non ami vivere la propria vita, ma la vita “già vissuta”, ricalcando orme che sono già state calcate: citando, ripetendo, riscrivendo, fondendo il presente con il passato.

Ecco allora che, attraverso le letterature del mondo, egli si cimenta con la propria scrittura in una regione più ampia della realtà nella quale è immerso, vivendo un’esistenza non personale ma puramente psicologica, e finendo così per percorrere l’universo.

Aggiungendo poi un pizzico di mitologia alle storie lette, la realtà da lui descritta diventa più scintillante, piena d’incanti e seduzioni, misteriosa e contraddittoria nell’alternarsi perenne tra la luce il buio. Si intuisce così, tra le letture di volta in volta scelte per la stesura dei suoi racconti, ciò che più soddisfa la sua immaginazione: il viaggio, la fuga, la metamorfosi, il naufragio, la recitazione, la menzogna, la fine di un’amicizia, il rifiuto della prassi, la fiducia nella tecnica, la refrattarietà al conformismo, la nostalgia del passato e l’attrazione per il nuovo.

Ma la parte più riflessiva della sua mente lo porta anche a riconoscere che crescendo intellettualmente ci si accorge, per esempio, che il bene e il male non stanno tutti dalla stessa parte. Lo si percepisce nel racconto Banane gialle quando il protagonista, interpellando un amico dopo aver acquistato delle banane da un ambulante di strada, tra cui ve ne sono alcune marce, riflette: «Io nella mia vita sono sempre stato a favore dei lavoratori e dei piccoli operatori economici. Le multinazionali e comunque il grande commercio li odio. Ora cosa sta accadendo? Che ho mandato a quel paese un povero ambulante e mi sono ripromesso di cadere per sempre nelle fauci della grande distribuzione! È una catastrofe, i miei principi di una vita che fine hanno fatto?». La risposta dell’amico al suo dilemma è che «bisogna distinguere caso per caso, che non si può prendere una decisione per così dire ideologica, cioè a prescindere!»

Non contento di questa spiegazione egli rintraccia un libro dalla sua biblioteca, Terra nuova e buoi rossi di Emilio Sereni (1981) in cui l’autore ricostruisce l’antica pratica agricola del “debbio”, vale a dire rigenerare con il fuoco i terreni. Fatto sta che il racconto si conclude con la decisione del protagonista che d’ora in poi comprerà le banane anche dal diavolo, purché le possa mangiare con gusto. È l’evoluzione del mercato globale bellezza! Che vuol dire benefici per alcuni e sacrifici per altri. Purtroppo, di paradossi e scomuniche di ideologie salvifiche è fatta la Storia del nostro Novecento. Ed in questa ambivalenza sembra muoversi tutto il libro di Morgese.

 


“SCIAMANI, ARABE FENICI, BANANE GIALLE E MAMBO": GLI INTRIGANTI SCENARI DI WALDEMARO MORGESE

di Andrea Laterza

[molalibera.it - 26 agosto 2021].

Se un titolo può essere la fortuna di un libro, ebbene questo lo è.

La struttura apparentemente frammentata è invece condotta da un intenso fil rouge che tutto tiene e tutto pervade.

I racconti sono asciutti e colpiscono la mente e l’animo del lettore come un colpo veloce, a volte feroce. E’ nell’intima essenza dei personaggi, tutti o quasi alter ego dell’Autore, che si esalta la cifra stilistica del libro.

Morgese riprende e ripercorre a volte le gesta di alcuni dei protagonisti di altri suoi romanzi, in particolare I guerrieri cambiano e Città buie, portando Nora e altri a disvelarsi ancor più e meglio, in un gioco di specchi multiforme, dove la realtà, il sogno, l’idealità, il passato, il presente e il futuro spesso si fondono e si sovrappongono, dando vita ad un caleidoscopio di suggestioni e riflessioni molto intense.

Nei venticinque racconti, l’Autore racchiude la sua filosofia di vita: la cultura come momento fondante nella vita di un essere umano senziente e cosciente; la letteratura, l’arte, la musica come la melodia che fa vibrare le corde più profonde e che tutto trascende, anche in un futuro onirico e fantascientifico.

Pure le incursioni nel presente dell’Autore, con la citazione di personaggi e fatti identificabili, è sempre connotata da interrogativi di fondo, mai da asserzioni apodittiche, sebbene il laicismo di Morgese non faccia sconti: egli si pronuncia con nettezza e chiarezza sui valori di fondo che dovrebbero permeare una comunità matura, proiettata verso migliori traguardi di consapevolezza collettiva.

I personaggi dei racconti sono problematici, complessi, mai lineari e adamantini: anche quando provengono dal popolo e da sacche di disagio sociale e non dalla borghesia delle arti e delle professioni, recano con sé un’inquietudine di fondo che la volontà di riscatto, attraverso il libro e il viaggio, non riesce a diradare, ad illuminare completamente.

L’ambivalenza e spesso l’ambiguità dei “guerrieri” che abitano anche questo libro dell’Autore, testimoniano la difficoltà del quotidiano, l’incertezza del presente, l’angoscia del futuro, il contrappasso da scontare vivendo.

Il viaggio intricato, attraverso la finzione della mente e l’evanescenza di luoghi fisici e metafisici, conducono i personaggi nella logica labirintica di Borges: «Un fuggiasco non si nasconde in un labirinto. Non innalza un labirinto su un luogo alto della costa, un labirinto cremisi che i marinai avvistano da lontano. Non ha bisogno di erigere un labirinto, perché l’universo già lo è» (Abenjacàn il Bojarì, Jorge Luis Borges).

Ecco, i personaggi dei venticinque racconti di Waldemaro Morgese, si perdono in quell’immenso labirinto che è la memoria, il sogno, il desiderio, la mente universale di ogni uomo.

Vi navigano avanti e indietro nel tempo, con suggestioni letterarie e sciamaniche, cyborg che risorgono come arabe fenici, banane gialle di antico e maieutico impegno sociale e un mambo caraibico e ritmico, preludio del viaggio per mare, l’unico che nell’immaginario collettivo, dalla peregrinazione omerica, abbia il senso dell’avventura e, al tempo stesso, della sacralità.

La lettura è immediata, godibile, ricca di erudite citazioni, intrigante.

 


I 25 RACCONTI DI WALDEMARO MORGESE: PERSONAGGI INQUIETI ALLA RICERCA DELLA VIA PER ITACA

di Piero Fabris

[molalibera.it - 11 settembre 2021].

Un periplo di riflessioni è il testo: Sciamani, arabe fenici, banane gialle e mambo (Giazira scritture); una rete di storie nelle quali Waldemaro Morgese non solo si specchia, ma getta l’àncora della speranza nel porto del futuro. Come un salmone nelle correnti dell’Oceano dello scibile si muove l’Autore. Un lavoro nel quale si coglie la proiezione dei suoi trascorsi e dei suoi vividi dubbi.

Racconti come volumi di un’enciclopedia che rimandano non solo a memorie, quanto alla Cultura come strumento per rintracciare le coordinate dell’umanità integra che trova nelle biblioteche dello scibile i cunicoli luminosi per gli affamati del sapere.

Racconti con i quali l’autore, il saggista, l’editorialista ci restituisce personaggi meditabondi, anzi il luogo del loro spirito irrequieto che si incammina nella bruma del domani possibile.

Attraverso queste pagine ci restituisce le figure di quanti sopravvivono oltre il tempo, in una dimensione fantastica e amara, magari mistificata dall’immaginario di spazi paralleli.

Waldemaro Morgese dà voce alle incertezze e agli interrogativi di esseri che come naufraghi cercano la via per Itaca in una realtà deturpata: il pianeta amato, vissuto, nel quale ci si sente estranei.

Lo scrittore, da fine polemista, restituendoci nomi e spartiti d’artisti relegati nella soffitta di vite passate, evoca spettacoli e atmosfere come bagagli per affrontare il divenire.

Un condensato di interrogazioni che obbligano a compiere fermate nel pronao di se stessi, sulla soglia del Dio Bifronte o della Dea Kalì che in pochi attimi brucia ogni velo d’ipocrisia!

Sono pagine della curiosità dei piccoli, tratteggiati con incisività nel bisogno argenteo di sapere, simbolo di bisogni genuini di capire, dell’onestà intellettuale così diversa da colui che ha smesso di camminare, felice della presunzione d’essere andato oltre il grammofono, ma che nel profondo rimane un troglodita.

È il contraddittorio e l’analisi lucida, il vero filo conduttore delle venticinque narrazioni! È il desiderio di viaggiare sempre per crescere e il guardare tutto attraverso ottiche del distacco concentrato e del credere nella cultura e ricerca come dispensa d’ingredienti per discernere tra miraggi del deserto e illusionisti, per aprire nuovi sentieri.

Libro di racconti come “luogo/crogiolo” dei pionieri del pensiero che desiderano guardare a chi ha fatto la Storia.

Lo stile, asciutto e scorrevole dei racconti, inanella ricordi ed esperienze con immediatezza.

L’erudizione e le citazioni puntuali tornano, senza retorica, come rintocchi di una pendola che disegna invisibili archi evocatori di universi, ideologie, metamorfosi dell’essere, misura di bisogni autentici «sulla strada/inerpicata al cielo…», capaci di strappare l’inganno di certa nostalgia del passato, grazie a uno sguardo limpido, razionale, concentrato e distaccato da venditori di balle di Banane nel dubbio che interroga la vita con le sue contraddizioni e potenzialità. 

 

   

SCIAMANI, ARABE FENICI, BANANE E MAMBO. UN LIBRO DI RACCONTI TRA PASSATO E FUTURO SCRITTO DALLO SCRITTORE MOLESE WALDEMARO MORGESE

di Giusy Carminucci

[Fax – edizione di Mola di Bari – 11 settembre 2021, p. 20].

Waldemaro Morgese ci propone con la sua ultima passeggiata letteraria un libro interessante, Sciamani, arabe fenici, banane gialle e mambo, edito da Giazira. Si tratta di una raccolta di brevi, ma intensi racconti di varia ispirazione, adatti ad un lettore più maturo.

Ogni narrazione è una sorta di monologo interiore, in cui l’Autore sembra essere in dialogo con se stesso, quasi alla riscoperta del proprio tessuto identitario: a volte delle proprie radici, altre di un luogo fisico o psicologico da esplorare e rendere fedelmente, ma sempre carico di emozioni, al lettore, che, ignaro, viene dolcemente avvolto in un’aura di mistero. Dirà il Nostro: «Si tratta di scomparire e ritrovarsi in un luogo dai contorni sconosciuti». E ancora: «La proposta consiste nell’andare incontro al mistero totale: ci confortano solo le storie raccontate dalle nostre nonne con protagonisti elfi e uccelli di fuoco che rinascono dalle loro ceneri».

Nei suoi “cortometraggi di carta” – così mi piace definire questi racconti – Waldemaro Morgese affida le immagini alle parole e alla fantasia del lettore e con aneddoti e curiosità lo immette in meandri della memoria, in spazi che sembrano reincarnazione di mondi futuri. Così i temi trattati sono quelli legati ai problemi esistenziali: la famiglia, l’amore, l’amicizia, la miseria umana, la morte e l’eternità, le relazioni umane, il meticciamento delle culture, la solitudine, l’eremitaggio, la capacità empatica di comprendere realmente l’altro. «Il problema è cosa mai accadrà ai nostri corpi senza programmare. Alcunché»: farà dire lo scrittore ad uno dei suoi personaggi.

Icona, quasi logo addirittura di ciascun racconto sono i libri, ben esposti nella “vetrina delle meraviglie” che è la biblioteca: «Di cosa si tratta esattamente? Di una grande bacheca di vetro con tre mensole anch’esse di vetro, ben piantata per terra alla vista di chiunque, con dentro, collocati in giusta esposizione, libri e documenti rari: meraviglie, appunto!»

Libri regalati, ritrovati, già letti, proibiti: trampolini di lancio di relazioni raccontate, luoghi indiscussi di ricordi e di finzione, ma anche spazi in cui, meglio che in ogni altro luogo, si esprime l’emotività… e tutto questo definito con estrema chiarezza ora da uomini ora da donne.

L’alternanza di genere nei protagonisti non è casuale: sembra voler soddisfare il principio secondo il quale medico e sciamano, guerriero e folle, mago e pensatore, Yin e Yang si confondono, dando luogo all’inimmaginabile, creando quello scenario misterico che alimenta la voglia e il desiderio di compiere il viaggio della vita, per soddisfare la sete di Assoluto e affrontare “lo star bene con qualcuno”, proprio come Elektra fa con il suo uomo.

Leitmotiv della narrazione è, infatti, l’Amore: ora per un nonno che non c’è più, ora per un amico perduto, ora per vecchie passioni rispolverate, ora per una donna molto più giovane, ma – come suggerisce il Nostro - «l’Amore non è contare gli anni, ma far sì che gli anni contino…».

8691 è il racconto in cui si avverte più forte nell’Autore il sentirsi ancorato ad un presente che profuma di un futuro incerto, ma che contemporaneamente lo attira verso misteriose strutture portanti della propria vita, che costruiscono ponti tra passato e futuro: «L’anno in cui tutto ebbe inizio lo riconoscerei anche se me lo scrivessero al contrario con l’effetto specchio»; «La vita è una cosa complicata e in molti casi c’è bisogno di prendere tempo prima di risolversi a fare qualcosa, qualunque cosa, anche rispondere a un’innocua domanda».

Sciamani, arabe fenici, banane gialle e mambo è un agile libro di piccole ma intriganti storie di vita, raccontate da uno scrittore che vuole porgere al lettore fotogrammi di una realtà nitida, capace di superare lo scoglio della finzione, per tuffarsi in un intrigante dedalo di sogni e desideri.

 


WALDEMARO MORGESE: SCIAMANI, ARABE FENICI, BANANE GIALLE E MAMBO (GIAZIRA SCRITTURE, NOICATTARO, 2021)

di Mary Sellani

[“Incroci Online” – 12 settembre 2021. Posted by: redazioneincroci on: 12/09/2021 in: narrativa | recensioni]

 

Quest’ultima pubblicazione di Waldemaro Morgese, scrittore, saggista ed editorialista, composta da venticinque capitoli, è una raccolta di ricordi rievocati in forma di racconti brevi e nascenti prevalentemente da memorie di libri letti in grandissima quantità. In possesso di questa enorme erudizione, l’autore si diverte talvolta a metterla a disposizione anche della fiction. Ne scaturisce un’operazione in cui egli cita puntualmente autori noti e meno noti che sollecitano le sue riflessioni sulla vita, sulla società, su problemi morali o ideali e sul valore della conoscenza e della cultura. Ripercorrendo la lettura di libri con tale facilità, sembra quasi che egli non ami vivere la propria vita, ma la vita ‘già vissuta’, ricalcando orme che sono già state calcate: citando, ripetendo, riscrivendo, fondendo il presente con il passato.

Ecco allora che, attraverso le letterature del mondo, egli si cimenta con la propria scrittura in una regione più ampia della realtà nella quale è immerso, vivendo un’esistenza non personale ma puramente psicologica, e finendo così per percorrere l’universo. Aggiungendo poi un pizzico di mitologia alle storie lette, la realtà da lui descritta diventa più scintillante, piena d’incanti e seduzioni, misteriosa e contradditoria nell’alternarsi perenne tra la luce il buio. Si intuisce così, tra le letture di volta in volta scelte per la stesura dei suoi racconti, ciò che più soddisfa la sua immaginazione: il viaggio, la fuga, la metamorfosi, il naufragio, la recitazione, la menzogna, la fine di un’amicizia, il rifiuto della prassi, la fiducia nella tecnica, la refrattarietà al conformismo, la nostalgia del passato e l’attrazione per il nuovo. Ma la parte più riflessiva della sua mente lo porta anche a riconoscere che crescendo intellettualmente ci si accorge, per esempio, che il bene e il male non stanno tutti dalla stessa parte.

Lo si percepisce nel racconto Banane gialle, quando il protagonista, interpellando un amico dopo aver acquistato delle banane da un ambulante di strada, tra cui ve ne sono alcune marce, riflette: «Nella mia vita sono sempre stato a favore dei lavoratori e dei piccoli operatori economici. Le multinazionali e il grande commercio li odio. Ora cosa sta accadendo? Che ho mandato a quel paese un povero ambulante e mi sono ripromesso di cadere per sempre nelle fauci della grande distribuzione! È una catastrofe, i miei principi di una vita che fine hanno fatto?». La risposta dell’amico al suo dilemma è che «bisogna distinguere caso per caso, che non si può prendere una decisione per così dire ideologica, cioè a prescindere!». Non contento di questa spiegazione, egli rintraccia un libro dalla sua biblioteca, Terra nuova e buoi rossi di Emilio Sereni (1981) in cui l’autore ricostruisce l’antica pratica agricola del debbio, vale a dire rigenerare con il fuoco i terreni. Fatto sta che il racconto si conclude con la decisione del protagonista che d’ora in poi comprerà le banane anche dal diavolo, purché le possa mangiare con gusto. È l’evoluzione del mercato bellezza, che vuol dire benefici per alcuni e sacrifici per altri.

Purtroppo, di paradossi e scomuniche di ideologie salvifiche è fatta la Storia del Novecento e in questa ambivalenza sembra muoversi tutto il libro di Morgese.

 


COME UN SALMONE NELLE CORRENTI DELL’OCEANO DELLO SCIBILE – Il nuovo volume di racconti di Morgese

di Piero Fabris

[“La Forbice” n. 10 di ottobre-novembre 2021, p. 16].

Un periplo di riflessioni è il testo: “SCIAMANI, ARABE FENICI, BANANE GIALLE E MAMBO” (Giazira scritture, Pagine 168, € 13,00); una rete di storie nelle quali Waldemaro Morgese non solo si specchia, ma getta l’ancora della speranza nel porto del futuro. Un lavoro nel quale si coglie la proiezione dei suoi trascorsi e dei vividi dubbi.

Racconti come volumi di un’enciclopedia che rimandano non solo a memorie quanto alla Cultura come strumento per rintracciare le coordinate dell’umanità integra che trova nelle biblioteche dello scibile i cunicoli luminosi per gli affamati del sapere. Racconti con i quali l’autore, il saggista, l’editorialista ci restituisce personaggi meditabondi, anzi il luogo del loro spirito irrequieto che si incammina nella bruma del domani possibile. Attraverso queste pagine ci restituisce le figure di quanti sopravvivono oltre il tempo, in una dimensione fantastica e amara, magari mistificata dall’immaginario di spazi paralleli. Waldemaro Morgese dà voce alle incertezze e agli interrogativi di esseri che come naufraghi cercano la via per Itaca in una realtà deturpata: il pianeta amato, vissuto nel quale ci si sente estranei.

Lo scrittore, da fine polemista, restituendoci nomi e spartiti d’artisti relegati nella soffitta di vite passate, evoca spettacoli e atmosfere come bagagli per affrontare il divenire. Un condensato di interrogazioni che obbligano a compiere fermate nel pronao di se stessi, sulla soglia del Dio Bifronte o della Dea Kalì che in pochi attimi brucia ogni velo d’ipocrisia! Sono pagine della curiosità dei piccoli, tratteggiati con incisività nel bisogno argenteo di sapere, simbolo di bisogni genuini di capire, dell’onestà intellettuale così diversa da colui che ha smesso di camminare, felice della presunzione d’essere andato oltre il grammofono, ma che nel profondo rimane un troglodita.

È il contraddittorio e l’analisi lucida, il vero filo conduttore delle venticinque narrazioni! È il desiderio di viaggiare sempre per crescere e il guardare tutto attraverso ottiche del distacco concentrato e del credere nella cultura e ricerca come dispensa d’ingredienti per discernere tra miraggi del deserto e illusionisti, per aprire nuovi sentieri. Libro di racconti come “luogo/crogiolo” dei pionieri del pensiero che desiderano guardare a chi ha fatto la Storia. Lo stile, asciutto e scorrevole dei racconti, inanella ricordi ed esperienze con immediatezza. L’erudizione e le citazioni puntuali tornano, senza retorica, come rintocchi di una pendola che disegna invisibili archi evocatori di universi, ideologie, metamorfosi dell’essere, misura di bisogni autentici “sulla strada/inerpicata al cielo…”, capaci di strappare l’inganno di certa nostalgia del passato, grazie a uno sguardo limpido, razionale, concentrato e distaccato da venditori di balle di Banane nel dubbio che interroga la vita con le sue contraddizioni e potenzialità.

 


“SCIAMANI, ARABE FENICI, BANANE GIALLE E MAMBO”: UN VIAGGIO EMOZIONALE LUNGO 160 PAGINE (Giazira scritture, Noicattaro 2021)

di Carmen Mari

[Casinamorgese.it - 5 gennaio 2022].

L’Autore ci regala un affascinante testo che racchiude 25 racconti brevi dalla scrittura di qualità tenuti assieme da un invisibile filo carico di emozioni e popolato da sorprendenti personaggi che si muovono in ambienti e scenari riconducibili a situazioni tra il veritiero e l’inventato ma sempre densi di sentimento.

La voce narrante, a volte femminile a volte maschile, sin dalle prime righe di ogni racconto coinvolge il lettore che di volta in volta si misura con molteplici situazioni e punti di vista: partecipa alla fine di un’amicizia, incontra Antonino autore di stornelli, conosce sciamani e guerrieri, magici astri e affascinanti navi, scopre intriganti meticciamenti…

Il coro dei personaggi conduce la narrazione, scandita da perfetta punteggiatura; così emergono trepidanti scenari e storie della famiglia dell’Autore. Famiglia popolata da poeti, musicisti, letterati ed è con questa eredità esistenziale che i racconti svelano i numerosi interessi di Waldemaro Morgese, che spaziano dalla fantascienza alla letteratura, dalla matematica alla poesia, dall’esoterismo alla musica, dalla storia alla politica. Il libro, come oggetto, si infila in moltissimi racconti mai come protagonista ma sempre elemento palpitante e significativo.

La mescolanza delle categorie che troviamo nel titolo del testo è un fedele annuncio della ricchezza dei contenuti di quest’ opera di ottima fattura editoriale scritta con lucida prospettiva mantenendo l’equilibrio tra le radici salde nel passato e lo sguardo a grandangolo volto al futuro.

La scrittura limpida e possente, compagna dei grandi pezzi letterari classici, fa di “Sciamani, arabe fenici, banane gialle e mambo” un libro godibile ed elegante.

Condividi pagina

Share by: