LA CULTURA E' ALIMENTO DELLA MENTE O ALTRO?

LA CULTURA E' ALIMENTO DELLA MENTE O ALTRO?

IL LIBRO POSSIBILE? NON PARLIAMO DI CULTURA

Waldemaro Morgese

[pubblicato su «Corriere del Mezzogiorno» del 18 luglio 2020, p. 9].

Il Covid-19 ha acuito una problematica molto poco mainstream ma che aleggia con sempre maggiore vivacità quale sorta di “convitato di pietra” nel dibattito mai sopito che si dipana nel nostro Paese sulla cultura. In tempi normali esplode di solito nei mesi estivi (sono quelli del moltiplicarsi delle rassegne, dei festival “del libro”, ecc.), ma quest’anno ha trovato nell’infezione un’altra ragione per manifestarsi, perché si fa un gran parlare su come costruire modelli culturali che non siano “quelli di prima”.

Il dilemma generale in cui tutto si inscrive è facile da formulare: deve la Cultura essere alimento della mente o deve alimentare lo sviluppo economico di un territorio, di una nazione, di un’enclave comunque connotata? Si badi: intendiamo riferirci alla sua vocazione fondamentale, caratterizzante, perché una volta assolto al compito – imprescindibile - di nutrire la mente, se la Cultura aiuta anche l’economia va da sé che ciò è benvenuto! Ma qualora i compiti secondari tralignino e divengano gli unici impatti sul serio perseguiti, che si fa?

Ogni volta che quest’ultima circostanza dovesse verificarsi (come purtroppo accade in molte rassegne di “cultura mordi e fuggi”, ad esempio “Il Libro Possibile” di Polignano per intenderci) penso che bisognerebbe avviare una semplice ma doverosa “operazione verità”: finanziamole pure queste rassegne “mordi e fuggi” ma non consideriamole operazioni culturali bensì di marketing turistico o di collateralismo a questo e quel potente di turno, o altro. Sostenere il consumo di pizze, aperitivi, B&B, ristoranti, hotel e posti barca e tutto l’indotto connesso sta bene, ma diciamo pane al pane e vino al vino: cioè, per carità, non parliamo di Cultura ma di altro, anch’esso accettabile, certo. Ma la mente, l’acculturazione, il sapere, la riduzione delle disuguaglianze attraverso l’apprendimento non c’entrano affatto, anche se ci sbattono sotto il muso pile di libri e di novità editoriali e scomodano grandi bestsellerrisiti.

Si badi, è un intero sistema di comportamenti “culturali” che andrebbe finalmente demistificato e ripensato: ho letto con godimento la sapidissima sostanziale stroncatura dello Strega sul «Domenicale» del 5 luglio scorso, ove l’imperdibile Gianluigi Simonetti parla di libri scritti in un italiano di plastica che sono all’incrocio fra convenzioni di genere e ammiccamenti glamour.

Se prevalesse il nutrimento della mente, allora la Cultura starebbe in filiera non con il Turismo (come accade ora al MiBACT) ma con l’Istruzione e la Formazione permanente; e Musei, Archivi, Biblioteche, Conservatori di Musica, Accademie di Belle Arti, Fondazioni e altro (cioè le molte istituzioni non effimere) costituirebbero il backbone, la spina dorsale della Cultura.

Del resto, qualora l’attuale organizzazione dei modelli culturali fosse funzionale dovremmo notare impatti positivi sul cosiddetto “capitale umano” (preferirei usare il termine “capacità umane”, come si esprime Amartya Sen); impatti che, aimé, non ci sono.


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