KATASTROFE'. L'ITALIETTA NEL CORONAVIRUS: recensioni

KATASTROFE'. L'ITALIETTA NEL CORONAVIRUS: recensioni

GLI SLOGAN? SPIA DELLA CATTIVA COSCIENZA

La cattiva politica sotto accusa in Katastrofé, l’ultimo libro di Morgese

Di Michele Casella

[su EPolis Bari inweek del 18 settembre 2020]

Mentre la penisola supera con spensieratezza l’estate 2020 e affronta la pandemia da Covid-19 con gioiosa e rinnovata superficialità, arriva nelle librerie il nuovo libro di Waldemaro Morgese “KATASTROFÉ, l’Italietta nel Coronavirus” (Edizioni dal Sud). Un titolo programmatico per una raccolta di testi che l’opinionista di EPolis Bari ha cominciato a comporre fin dagli inizi di febbraio, provando a interpretare ciò che è accaduto nei quattro mesi cruciali della pandemia italiana. Ne abbiamo parlato assieme a lui per capire cosa sta succedendo e se c’è ancora speranza per un popolo perennemente sprovveduto.

D. Il Covid potrebbe rivelarsi un evento educatore? Siamo ancora in tempo?

R. Secondo me potrebbe essere educatore, ma non educherà nessuno purtroppo. Dicono che io su questa questione sia pessimista, credo però di essere – piuttosto – realista: oggi, dopo i quattro mesi “orribili”, questa sensazione mi si rafforza. Cosa sta cambiando? Tutti cercano di tornare “a come prima”!

D. Anche per te il Covid ci racconta che l’uomo è dominante sulla terra per pura alea?

R. C’è un filo di pensiero che accomuna discipline diverse e di cui dò conto nella premessa al volume: l’essere umano è nato per caso e semplicemente per caso, non perché migliore, è divenuto il re della Terra. Si pensa che l’Homo Sapiens sia prevalso perché più intelligente, ma non è così! Questo significa che, in futuro, all’uomo potrebbe sfuggire di mano ciò che egli stesso produce nel campo della scienza e della tecnica, risultandone travolto…

D. Cosa ti preoccupa maggiormente, la strumentalizzazione politica o il negazionismo popolare?

R. Di certo la strumentalizzazione politica. Del resto nei 4 mesi “orribili” una potente macchina mediatica ha creato dal nulla una sorta di improbabile dux!

D. A tuo parere l’Italia continua a soffrire di un individualismo regionale assai marcato? Ci sono soluzioni possibili?

R. La formula centralistica non ha futuro, appartiene al passato. Solo che il decentramento nato con le Regioni 50 anni fa andrebbe revisionato, creando poche Macroregioni. Ma di cosa parlano i nostri politici? Del taglio dei parlamentari: surreale.

D. Una maggiore globalizzazione porta a responsabilità più determinanti?

R. La globalizzazione è ineluttabile. Edgar Morin voleva la “Terra patria”. Ma l’impalcatura istituzionale (e anche costituzionale) della globalizzazione è tutta da costruire, ora c’è solo la messa a fattor comune della finanza. Senza evolvere verso questa consapevolezza la globalizzazione può creare molte disfunzioni, in primo luogo le diseguaglianze e una maggiore rabbia sociale. Ma dove sono gli illuminati che agiscono di conseguenza? Non li vedo.

D. Lo slogan “saremo migliori” è ora diventato una frase canzonatoria, soprattutto online: abbiamo perso a tal punto la fiducia in noi stessi?

R. Questo slogan, come tu dici, è la spia della nostra cattiva coscienza, del fatto appunto che non siamo diventati Italia, siamo ancora Italietta. In Germania il piano pandemico lo hanno sempre aggiornato e poi applicato, noi abbiamo compilato un po’ di carte e lo abbiamo lasciato a dormire per 12 anni. Così abbiamo affrontato lo scoppio dell’infezione a mani nude.

D. Il giudizio che trapela nel tuo libro sull’Unione Europea è abbastanza severo, cosa si doveva aspettare di più?

R. Il coordinamento delle politiche sanitarie, che è mancato totalmente. Anche i cospicui aiuti deliberati quest’anno sono solo il frutto della preoccupazione di perdere un grande mercato delle merci. Gli Stati Uniti d’Europa sono di là da venire, purtroppo

D. Quale normalità dobbiamo aspettarci nel prossimo futuro?

R. Sul futuro possiamo elaborare scenari, poi ci dobbiamo rimboccare le maniche per adoprarci a far prevalere lo scenario che più desideriamo. Ci può essere una normalità che ingloba i cambiamenti dovuti allo shock o quella che ignora del tutto lo shock. Io però sono un po’ pessimista, perché non vedo ceti politici e intellettuali all’altezza, intesi come massa d’urto (non le singolarità, che ci sono, certo).

 

MA QUESTO VIRUS È DAVVERO UNA…KATASTROFÈ. L’ITALIETTA FATTA CON I «SE»

Waldemaro Morgese e il diario di una crisi

Di Giampaolo Busso

[su La Gazzetta del Mezzogiorno del 9 agosto 2020].

Katastrofè. L’Italietta nel Coronavirus, è il titolo di un libro breve (Edizioni dal Sud, luglio 2020) che raccoglie diciotto articoli scritti da Waldemaro Morgese tra il 21 febbraio ed il 26 giugno dell’anno in corso, lungo le settimane del lockdown e delle diverse fasi di contenimento della epidemia. Questa ultima è la dichiarata protagonista e, al contempo, il soggetto al centro delle riflessioni: come si è diffusa nel contesto della globalizzazione, i suoi impatti di breve periodo, le conseguenze prospettiche delle quali è portatrice sulla salute, sulla economia, sugli stessi criteri di concezione delle vite individuali, dell’etica e della morale pubblica e privata, della convivenza sociale e del rapporto tra l’uomo e la natura.

In greco antico katastrofè indicava il rovesciamento di una situazione, anche di quello che può sembrare l’ordine naturale delle cose. In questa accezione etimologica esprime efficacemente il ribaltamento della usuale quotidianità intervenuto con il regime delle restrizioni. A sua volta, la definizione di Italietta sintetizza, secondo l’autore, l’amara constatazione della pochezza che ha saputo tesaurizzare la nostra Nazione: tanto che è stata capace solo di diventare (o restare) un’Italietta, non di trasformarsi in un’Italia. Il giudizio sulla conduzione della crisi è molto netto e chiaro. Morgese ritiene che vi sia stata una cinica svalutazione degli istituti della democrazia repubblicana e che una potente macchina mediatica abbia concorso a promuovere nell’immaginario collettivo la figura di un improbabile dux e, per altri versi, a rendere i cittadini assuefatti ad una sorveglianza totalitaria basata sull’uso improprio di dati individuali sensibili e sulla diffusione di numeri fasulli. La recentissima desecretazione dei verbali del Comitato tecnico scientifico è destinata ad alimentare ulteriormente polemiche e contrapposizioni di giudizi su questi aspetti così delicati.

Un paio di articoli di Morgese, pur convinto europeista della prima ora, chiamano in causa l’assenza di una strategia europea all’altezza della crisi sanitaria e i ritardi e le incertezze che hanno accompagnato la messa a punto, più che dei primi interventi, degli annunci di quelli che saranno i primi interventi concreti.

La storia e anche la cronaca non si fanno con i «se», tuttavia talvolta essi aiutano a capire come sarebbero potute andare diversamente le cose. Se si fosse intervenuti tempestivamente ed efficacemente sui primi focolai epidemici e sui contesti più esposti (RSA) e se l’attrezzatura territoriale della sanità ed il numero dei posti disponibili nelle terapie intensive non fossero stati devastati da tagli di spesa per circa 30 miliardi di euro negli ultimi otto anni, molto probabilmente il numero degli italiani deceduti (pari allo 0,068% circa della popolazione) sarebbe stato di gran lunga inferiore. Ovviamente c’è anche da chiedersi cosa sarebbe accaduto di più o di meno drammatico se le attività industriali fossero rimaste aperte.

Quello che è successo nei mesi scorsi in Italia non è assolutamente paragonabile alle tragedie sanitarie del passato, che siano le pestilenze descritte da Tucidite e da Manzoni o la «spagnola», eppure può assestare un colpo micidiale alla tenuta non solo economica del Paese.

Cento miliardi di euro provenienti da nuovo debito pubblico e da minore tassazione a sostegno di consumi che continuano a languire, un incremento inevitabile della disoccupazione, una perdita di oltre dieci punti di Prodotto Interno Lordo dei quali almeno un terzo irrecuperabile in quanto riconducibile ad imprese che hanno cessato di esistere o stanno per farlo, rappresentano dati sconvolgenti che gettano ombre pesanti sul futuro delle nuove generazioni quanto, ancora più drammatiche, sul presente. L’italiano di «domani mattina» dovrà affrontare un quadro di questo genere e le implicazioni potranno essere le più diverse su ogni piano.

Il diario di Waldemaro Morgese è una sorta di viaggio tra gli avvenimenti sociali e politici affrontati e vissuti, tra i sentimenti ed i richiami culturali e bibliografici che la solitudine suggeriva in quell’arco di settimane indimenticabili e, speriamo, non destinate a ripetersi.

 

KATASTROFÉ, L’ITALIETTA NEL CORONAVIRUS: IL PAMPHLET DI WALDEMARO MORGESE

L’opuscolo dell’editorialista e scrittore molese analizza, in maniera critica e senza alcuna concessione alla retorica, i vorticosi eventi della politica e della società italiana accaduti nel corso dei quattro drammatici mesi della pandemia.

Mola Libera, 17 agosto 2020 [quotidiano online, www.molalibera.it].

Di Piero Fabris

Leggere i diciotto elzeviri di Waldemaro Morgese raccolti sotto il titolo “Katastrofé – L’Italietta nel Coronavirus” (Edizioni dal Sud. Collana riflessioni 11. Pagine n° 52, € 8,00) significa ritrovarsi davanti a un mosaico dai tasselli vivaci.

Trattasi di un pamphlet che ci consente di avere delle visioni più chiare e di considerare i fatti da angolazioni diverse o, se vogliamo, con risonanze non schierate che inquadrano certe realtà volutamente opacizzate dai manipolatori dell’informazione, per i quali il trambusto susseguirsi dei fatti e il brumoso modo di affrontarli (i rallentamenti nel fosco come un atto dovuto alla giustizia) è uno strumento collaudato per la monopolizzazione delle notizie.

L’autore di queste pagine, nel presentare le azioni degli uomini, protagonisti della direzione della cosa pubblica, sottolinea e accenta la presunzione di dominio con acutezza raffinata, cosicché Hybris e l’idea contagiosa dell’uomo di essere dominatore del pianeta, viene sottolineata con un’ironia sottile che ci schiude, retoricamente al dubbio sull’operare, sulla competenza, sull’onestà di alcuni addetti alla promozione del bene comune, i quali sembrano cadere, sempre in piedi, dalle sovrastanti nubi dell’onniscienza, per quanto riguarda il pianeta delle catastrofi.

La loro sensibilità è infatti straziata dalla ribellione della “terra matrigna”, che colpisce i loro animi illibati per la dolorosa perdita di quanti furono vittime del caso e mai della mancata ispezione delle infrastrutture volute e sognate per velocizzare scambi e collegamenti; si sentono profondamente uniti al lutto, per i disastri di ogni genere, per i quali i cinque minuti di “silenzio/raccoglimento” sono un obbligo istituzionale!

Ma Waldemaro Morgese che già aveva consegnato alle stampe nel mese di luglio 2019 un libricino di venti articoli pubblicati su “EPolis Bari inweek” e “Gazzetta del Mezzogiorno”, mostra il suo valore confermandosi osservatore privilegiato, utilizzando la sua penna per denunciare quella cultura effimera, dove i signori degli “eventismi” spazzano la vera cultura sostituendola con la spettacolarizzazione: tuoni senza pioggia, per i quali tutti accorrono, vittime incoscienti di quell’attimo di protagonismo di piazza dove i riflettori illuminano l’apparire.

L’autore smascherando con eleganza e ridicolizzando l’evidente mancanza di contenuti di certe vetrine dell’esibizionismo, che è spreco di soldi pubblici, sostituisce all’arenarsi in spelonche dell’opportunismo un disegno di irrigazione culturale che restituisce alla mente ossigeno per la creatività, riflesso d’identità e conoscenze che rendono florido il giardino dello scibile grazie al quale è possibile guardare al futuro con lungimiranza.

 

L’«ITALIETTA» E LA CATASTROFE DEL CORONAVIRUS

Il diario del lockdown di Waldemaro Morgese, alla ricerca di una nuova ecologia.

“Corriere del Mezzogiorno - Puglia”, 6 settembre 2020.

di Maria Villani (nome “de plume” di Mary Sellani)

Di Waldemaro Morgese, saggista, editorialista, scrittore, è uscito nel mese di luglio Katastrofé – L’Italietta nel Coronavirus (Edizioni dal Sud, pp. 52, euro 8), un libro breve che raccoglie alcuni suoi articoli pubblicati sulla rivista EPolis Bari in week tra il 21 febbraio e il 26 giugno 2020, lungo tutto il percorso di lockdown dovuto all’epidemia da Coronavirus. È una sorta di “diario” della fase più acuta dell’infezione arrivata nel nostro Paese in cui sfilano alcune tematiche che Morgese sottopone ad una severa riflessione politica e culturale: dalla diffusione del virus nel contesto della globalizzazione, alle conseguenze negative sulla salute, sull’economia, sulla scuola, e sul rapporto tra l’uomo e l’ambiente.

Siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa che ha ribaltato la “normale” quotidianità della nostra vita con il regime delle restrizioni e delle prescrizioni sanitarie: praticamente uno shock, o, come dice l’autore, una katastrofé, la quale, d’altra parte, ha messo ancor più in evidenza la debolezza politica, le mancanze, i ritardi dell’Italia (definita appunto Italietta), non assurta ancora a dignità di Nazione. Dal tenore degli articoli si coglie pertanto il pessimismo di fondo dell’autore anche rispetto alla conduzione di Governo e Regioni proprio nei mesi cruciali della pandemia; allo stesso tempo egli coglie l’assenza di una strategia europea all’altezza della crisi sanitaria non essendo essa stata capace d’intervenire tempestivamente ed efficacemente sui primi focolai epidemici.

Tuttavia, se non altro, questa emergenza ha avuto il merito di rimettere in primo piano il tema dell’urgenza di riconoscere seriamente la più grande questione della nostra epoca: la salvezza del nostro Pianeta. Si tratta infatti di un tema complesso che interseca ogni aspetto delle nostre vite e che richiederebbe di essere raccontato in modo più comprensibile di quanto fatto finora, di spiegare, per esempio, più approfonditamente il perché del riscaldamento globale, come funziona e cosa determina nel mondo naturale, e quanto esso dipende effettivamente dal comportamento umano. Perché se questa relazione esiste, è arrivato allora il tempo di prenderne finalmente coscienza e di attuare un cambiamento radicale del nostro tipo di sviluppo. Il quale, con la globalizzazione, ovvero con l’occidentalizzazione del sistema capitalistico, ha portato ad un aumento delle diseguaglianze sociali, ad una forte polarizzazione tra ricchezza e povertà, e ad una finanziarizzazione dell’economia. E cercare invece di attuare quell’«ecologia integrale» tra umanità e creato indicata dallo stesso Papa Francesco nella sua enciclica Laudato sì del 2015. Se la pandemia ha reso grave la rottura tra noi e il creato, si tratta ora – come auspicato nell’enciclica – di ricostruire quella nativa armonia.

Un aspetto di questo tentativo di ristabilire l’armonia originaria la cita Morgese nell’articolo “La campagna è il futuro?” in cui riferisce di una mostra ospitata nel febbraio scorso al Guggenheim Museum di New York, dal titolo “Countryside. The future”, ideata dall’architetto olandese Rem Koolhaas, basata sull’idea che le aree rurali possano essere un’importante soluzione ai problemi del presente; e che dunque, la montante urbanizzazione non sia affatto un fenomeno ineluttabile. Tra arditezze varie e dati satellitari captati in tempo reale nell’elicoide del Museo, la mostra espone un trattore e un campo sperimentale di pomodori maturati con i Led e coltivati da un esperto di idroponica, David Litvin, ribattezzato dai newyorkesi Tomato Man.

 

KATASTROFÉ. L’ITALIETTA NEL CORONAVIRUS

Severe riflessioni di Waldemaro Morgese durante il lockdown

Di Vitangelo Magnifico

[su Città Nostra n. 199 del settembre 2020]

Quattro mesi sono lunghi da passare standosene chiusi in casa ad ascoltare le notizie sull’epidemia che avanza e che ci vede, come italiani, protagonisti di un’esperienza che era difficile prevedere solo poche settimane prima, quando tutto scorreva nella routine quotidiana e con abitudini consolidate in decenni di pace. “Siamo in guerra” si sentiva spesso dire; ma non c’erano macerie e cadaveri nelle strade. Il senso della morte passava con i comunicati giornalieri della Protezione Civile e le immagini televisive delle chiese piene di bare e delle colonne di camion militari che le trasportavano in cimiteri che avevano ancora posto per accoglierle. C’era chi si dava coraggio cantando dalle finestre e chi faceva tesoro delle nuove tecnologie per aggregarsi a distanza; nascevano cori, orchestre intere mentre industrie, negozi, bar, ristoranti, cinema, teatri, stadi, scuole, università, chiese e perfino ospedali invasi dal virus chiudevano con un crescendo di frustrazione e preoccupazione per il domani. Divenne proibito perfino uscire di casa; l’unica occasione per farlo era andare a comprare qualcosa da mangiare, ma invece della tessera annonaria si doveva portare un’autocertificazione! Si rischiava una multa salata anche per andare a lavorare! Anche le due Camere del Parlamento si svuotarono e i pochi Onorevoli presenti a rappresentare il tutto sembravano larve impaurite. Ogni azione venne regolata dai Decreti emanati in successione dal Presidente del Consiglio dei Ministri nelle diverse fasi della pandemia dopo aver mediato una riottosa compagine governativa e chi “non voleva chiudere”.

Dopo, gli italiani scoprirono di essere stati più bravi degli altri popoli a combattere un nemico invisibile, un coronavirus, che, stando agli esperti, era passato da una specie di pipistrello all’uomo. E andò a ruba un libro pubblicato diversi anni prima in America che aveva previsto tutto! Nonostante gli avvertimenti, al suo arrivo il virus trovò una strada spianata dall’assenza di un piano anti-pandemico; e gli italiani si trovarono senza mascherine e senza tamponi e i sanitari perfino senza gli ausili necessari per evitare le contaminazioni. Passeranno alla storia le immagini degli infermieri avvolti nelle buste della spazzatura! Una vera e propria catastrofe!

Waldemaro Morgese non era alla finestra a cantare e nemmeno seduto davanti ad un PC a chattare o contestare fake news, ma meditava da par suo e appuntava le sue riflessioni che settimanalmente affidava a EPolis Bari in week per la pubblicazione. I diciotto brevi articoli pubblicati dal 21 febbraio al 26 giugno sono stati, in seguito, raccolti in Katastrofé: L’Italietta nel Coronavirus (Edizioni dal Sud, Bari; pp. 52; € 8,00).

Già in premessa Morgese si chiede: Insomma: il Covid-19 dobbiamo considerarlo un evento epocale o un incidente di percorso? Un rivolgimento radicale oppure un semplice sconvolgimento che – superata la fase del suo drammatico svolgersi – sarà progressivamente riassorbito non avendo in sé la forza di poter ostacolare il ritorno al “come prima”? E da quel rigoroso osservatore evidenzia antichi vizi italici utilizzati per mascherare la pretesa ineluttabilità di certe decisioni, da italietta che non riesce a diventare Italia anche in una drammatica situazione. Lo irrita un pessimo governo e l’atteggiamento del premier, che arriva a definire, più volte, Fregoli (Leopoldo Fregoli era un attore e regista trasformista, dal quale il termine fregolismo) che gestisce l’emergenza a colpi di Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM), che per Waldemaro sarebbero una “furba impalcatura decisionale per sterilizzare il Parlamento e prendersi tutto il proscenio” come un novello DUX, al quale si ricorre nei periodi bui.

Non sono molto d’accordo su queste preoccupazioni. Ritengo che la nostra democrazia sia abbastanza forte per consentire certe forzature. La vigilanza del Presidente Mattarella e di tutti gli organi istituzionali, compreso il Parlamento (che non ci fa una bella figura!) e i Sindacati sono sufficiente garanzie. Per Waldemaro sono, comunque, segnali pericolosi; egli vorrebbe, invece, la responsabilizzazione dei cittadini che passa attraverso la fiducia e la trasparente informazione, anche per poter gestire il dopo emergenza. Le avventate uscite di certi Ministri, i comportamenti di alcuni Presidenti di Regioni (pomposamente chiamati Governatori, che approfittano del momento per chiedere maggiori autonomie!), le posizioni delle opposizioni, interessate solo a far cadere il Governo e andare alle elezioni con la speranza di vincerle, e gli scienziati che litigano e si offendono in diretta televisiva non offrono uno spettacolo confortante!

E che dire degli Italiani con la memoria corta che hanno rimosso subito le colonne di bare e corrono in vacanza e a ballare appena si passa alla fase tre senza un minimo di precauzione e fornendo numeri di telefono errati per non essere rintracciati in caso di positività al COvid-19! Chi diceva che ogni popolo ha il Governo che si merita? Eppure, grazie a quelli bravi e seri, di meriti gli Italiani ne hanno accumulato nei quattro mesi di lockdown. Ma l’italietta è più forte dell’Italia. Il timore di Waldemaro Morgese è che a vincere sarà come al solito la prima, per tornare alle ammucchiate pre-covid e magari approfittare per accaparrarsi i soldi che l’Unione Europea ci darà e ci presterà per riparare i danni del coronavirus che si sono aggiunti a quelli pregressi. A ben vedere, Waldemaro Morgese si preoccupa più dei danni morali; e non si può che essere d’accordo.

Per chiudere, permettetemi una considerazione di tipo professionale. Nel quattordicesimo articolo dal titolo “La campagna è il futuro?”, stimolato da una mostra a New York (al Guggenheim Museum, allestita ma mai aperta al pubblico per la pandemia), Morgese ritiene “che le aree rurali possano essere un’importante soluzione ai problemi del presente e che, dunque, la montante urbanizzazione non sia affatto un fenomeno ineluttabile”. Nella mostra c’è un campo sperimentale di pomodori maturati con i LED gestito da un solitario esperto di coltivazione idroponica che i newyorkesi hanno battezzato Tomato Man. Morgese, alla fine dell’articolo si chiede: “Dove sono i nostri Tomato Man?”. La risposta, facile, è: alla periferia di Mola, nell’Azienda Sperimentale “La Noria” del CNR. Sono Ricercatori pluripremiati a livello internazionale per le loro ricerche innovative sulle coltivazioni idroponiche. È probabile che il Tomato Man newyorkese utilizzi tecniche scoperte a Mola. Ma nessuno lo sa; perché nessuno se ne cura, perché la nostra agricoltura deve essere quella “bella” dei decenni passati non quella progredita americana! Forse i tomato men, nostri, innovativi, non ci piacciono!


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