ANDREA G. LATERZA: "IL PASSATO HA UN CUORE NERO"

Recensione di Waldemaro Morgese.

“Il passato ha un cuore nero” del molese Andrea G. Laterza (Edizioni Radici Future, Bari 2022), con un titolo curiosamente dissonante-assonante con il famoso “Il futuro ha un cuore antico” di Carlo Levi (1956), è un romanzo che sembra chiudere un cerchio: iniziato con “Il vento che arriva dal mare” (2008) e proseguito con “Ursa Major” (2012), “La collina dei veleni” (2016), “Il senatore” (2018).

Lo chiude nel senso che si riallaccia direttamente (senza mediazioni) all’opera dell’esordio e infatti il nuovo romanzo apparentemente si presenta come un noir di genere avventuroso, o anche a mezzo fra thriller d’azione e thriller politico, in realtà è un’opera eminentemente autobiografica, esattamente come lo era “Il vento che arriva dal mare”: una prova letteraria, quest’ultima, in cui l’Autore scrive sostanzialmente un romanzo di formazione. Del resto è significativo che l’esergo scelto per questo primo libro sia una frase di Gabriel Garcia Marquez: “La vita di una persona non è quello che è accaduto. Ma quello che si ricorda e come lo si ricorda”.

Mi rendo conto di contraddire, in questo modo, perfino la sintesi editoriale ospitata nell’aletta di “Il passato ha un cuore nero”, tutta focalizzata sulla trama “avventurosa”: un uomo morto, intellettuale di prestigio; l’indagine della commissaria di polizia Giulia Franceschi, del suo collega Tanino Caricola e del procuratore Riccardo Gerardi; la risoluzione del misterioso assassinio segnata da “un intreccio incalzante di colpi di scena, da un ritmo crescente di tensione narrativa ed emotiva”.

Ma il fatto è che l’intreccio incalzante e la tensione narrativa, che in “Il passato ha un cuore nero” certamente ci sono, rappresentano probabilmente il debito dell’Autore verso il cosiddetto “canone” a cui soggiacciono oggi tutti i noir o thriller di cui ormai è costellata la narrativa di consumo contemporanea, sorti e proliferati dopo i grandi autori immortali come Agatha Christie, Arthur Conan Doyle, Raymond Chandler, Georges Simenon e che si nutre delle gesta di una lunga teoria di commissari, vicecommissari, commissari capo, questori e vice questori, detective professionali e per caso, ispettori, procuratori e così via. Si badi, non è questa una critica al valore letterario di una parte almeno di queste forme di “gialli” (ricorderei Giorgio Scerbanenco, Carlo Lucarelli e Massimo Carlotto fra i migliori), che continuano ad essere vitali come ha sostenuto proprio Lucarelli in un recente dibattito (su la Repubblica del 26 aprile scorso). Ne accenno solo per sostenere che l’ultima opera di Andrea G. Laterza ha il suo profilo ed esito migliori non certo nell’omaggio al “canone”, ma nelle rapide descrizioni, molto belle anzi affascinanti, in cui si descrivono i luoghi e i paesaggi vissuti nella vita reale dall’Autore (fra cui anche quelli della zona collinare della città in cui oggi vive) nonché – soprattutto – nel “cuore” della vicenda in cui consiste l’intreccio narrativo, vale a dire l’Internazionale Nera, il periodo della strategia della tensione, i tentativi fascisti di sovvertire l’ordine repubblicano in Italia: vale a dire, una parte importante delle pulsioni di cui si è nutrito il vissuto reale dell’Autore, sempre molto impegnato nella vita civile e politica e con una esperienza di sensibilità per la “filosofia comunitaria” olivettiana (tutto ciò è peraltro richiamato già nel romanzo di esordio).

I “conti” quindi sembrano tornare tutti, anche se alcuni temi, per quanto immanenti all’intreccio “canonico”, sono di certo notevoli e interessanti: non intendo svelare i particolari perché questa recensione intende anche stimolare a leggere il romanzo, ma si coglie in filigrana – sottolineo solo ciò - la lotta simbolica dell’essere umano che cerca di non essere travolto dal passato, anzi di fare i conti con esso una volta per tutte (questo tema è amplificato e anzi annunziato dall’esergo di Francis Scott Fitzgerald scelto da Laterza, il famoso finale di Il grande Gatsby: “E così procediamo a fatica, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato”).

La mia conclusione è quindi un auspicio (più per me che…per l’Autore, che seguirà come è giusto la sua ispirazione): forse questo romanzo potrebbe essere il punto conclusivo di una tetralogia, estrinsecatasi dal 2012 al 2022, suturata dagli stessi personaggi? In modo che ciò faciliti la scrittura di una nuova opera che torni a parlare di mare e di vento? Chissà!

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